La denuncia: “Mio marito rischia di morire in carcere a Salerno ancora prima di essere giudicato. Negato il diritto alla salute”
Il marito rischia di morire in carcere a Salerno ancora prima di essere giudicato. Lei accusa di vedere negato il diritto fondamentale alla salute. Ecco la lettera della signora Adriana C.
“Premettendo il fatto che credo fermamente nella Giustizia e nella Legge e che se un cittadino sbaglia deve essere rieducato con le misure idonee, rimango sconcertata dal trattamento che un uomo, ancora in attesa di giudizio è costretto a subire. Un’attesa che durerà diversi mesi ma che, considerate le attuali condizioni di salute di mio marito, rischia di diventare pericolosamente lunga. Vi racconto perchè. A maggio mio marito è stato coinvolto in un’operazione antimafia e condotto nel carcere di Taranto. Qui c’è rimasto fino alla fine di luglio, prima di essere trasferito nel penitenziario di Salerno. Da questo momento in poi è cominciato il calvario e la discesa agli inferi per mio marito. Capisco regole relative alla sicurezza e ma parallelamente dovrebbero essere rispettate quelle della dignità di un uomo che, fino a prova contraria , è ancora in attesa di giudizio. Più di 250 km e diverse ore di viaggio con mani e piedi legati, al buio, come bestiame portato al macello, ignorando il fatto che si tratta di un soggetto claustrofobico e alla sua prima triste esperienza da “deportato”. Il caldo ha fatto il resto, ha avuto diversi mancamenti ma è stato puntualmente ignorato” scrive Adriana C. che aggiunge “I familiari hanno saputo dello spostamento solo quando, fissato il colloquio a Taranto, è stata comunicata l’impossibilità di vederlo, quindi anche di recapitargli beni di prima necessità già inviati con un corriere e rispediti al mittente. Il contraccolpo è stato piuttosto duro ma era solo l’inizio dell’inferno. Giunto a destinazione si è ritrovato in una cella con altre 6 persone. Si parla spesso di sovraffolamento nelle carceri italiane, ne abbiamo avuto conferma. Un’incredibile escalation di avvenimenti traumatici che hanno generato in lui un forte crollo psicologico che con il passare del tempo si è trasformato in depressione. Per dire no ad una detenzione eccessivamente severa e priva di ragioni reali che ne giustificassero la durezza, ha cominciato lo sciopero della fame, nel tentativo di far valere i più elementari diritti di un essere umano. Sollevare l’attenzione sulla giusta e commisurata ‘punizione’ rispetto ad un reato, ma sempre nel rispetto del principio di rieducazione e magari reinserimento nella società. Nulla di tutto ciò, ignorato totalmente. Nessun consulto psicologico e nemmeno un prete con cui parlare. Abbandono totale che ha aggravato inevitabilmente il suo stato psico-fisico a tal punto che ha sviluppato una conclamata forma di anoressia. Tutto questo dopo che ad ottobre un medico di parte ha accertato il suo stato di salute riconoscendo un inizio di anoressia, patologia rigettata dal medico legale nominato dal tribunale. Nel tempo la situazione si è aggravata. Il malessere lo ha portato a perdere 30 kili in quattro mesi e lo ha ridotto uno scheletro umano incapace di alzarsi e deambulare. Non riesce neanche ad uscire dalla cella per recarsi al colloquio. Negata anche una sedia a rotelle è un “privilegio” solo per i portatori di handicap, questa la giustificazione da parte degli addetti ai lavori. Chi sbaglia paga, è giusto e condivisibile ma nel rispetto dei diritti fondamentali di un uomo. Anche quelli sono garantiti dalla Costituzione e in questo caso ne sono stati violati diversi. Pertanto, chiedo solo a chi di dovere di intervenire prima che sia troppo tardi. Un uomo, un marito, un padre di 44 anni non può essere condotto alla morte prima ancora di essere giudicato in un processo che vedrà la sua prima udienza a fine gennaio. È notizia degli ultimi giorni, la concessione degli arresti domiciliari, ad uomo condannato per omicidio, per problemi di salute legati all’obesità. In questo caso lo stato di salute è risultato incompatibile con il regime carcerario”. E conclude “Mi chiedo: nel caso di mio marito stanno aspettando che si arrenda alla morte prima ancora del processo? È questo lo Stato di diritto in cui viviamo? Non chiediamo un trattamento di favore o la libertà, ma solo la possibilità di trasferirlo in una struttura idonea, con un ospedale annesso, dove possa vedere garantito il sacrosanto diritto alla Salute” conclude Adriana C. nella sua lettera.
“Premettendo il fatto che credo fermamente nella Giustizia e nella Legge e che se un cittadino sbaglia deve essere rieducato con le misure idonee, rimango sconcertata dal trattamento che un uomo, ancora in attesa di giudizio è costretto a subire. Un’attesa che durerà diversi mesi ma che, considerate le attuali condizioni di salute di mio marito, rischia di diventare pericolosamente lunga. Vi racconto perchè. A maggio mio marito è stato coinvolto in un’operazione antimafia e condotto nel carcere di Taranto. Qui c’è rimasto fino alla fine di luglio, prima di essere trasferito nel penitenziario di Salerno. Da questo momento in poi è cominciato il calvario e la discesa agli inferi per mio marito. Capisco regole relative alla sicurezza e ma parallelamente dovrebbero essere rispettate quelle della dignità di un uomo che, fino a prova contraria , è ancora in attesa di giudizio. Più di 250 km e diverse ore di viaggio con mani e piedi legati, al buio, come bestiame portato al macello, ignorando il fatto che si tratta di un soggetto claustrofobico e alla sua prima triste esperienza da “deportato”. Il caldo ha fatto il resto, ha avuto diversi mancamenti ma è stato puntualmente ignorato” scrive Adriana C. che aggiunge “I familiari hanno saputo dello spostamento solo quando, fissato il colloquio a Taranto, è stata comunicata l’impossibilità di vederlo, quindi anche di recapitargli beni di prima necessità già inviati con un corriere e rispediti al mittente. Il contraccolpo è stato piuttosto duro ma era solo l’inizio dell’inferno. Giunto a destinazione si è ritrovato in una cella con altre 6 persone. Si parla spesso di sovraffolamento nelle carceri italiane, ne abbiamo avuto conferma. Un’incredibile escalation di avvenimenti traumatici che hanno generato in lui un forte crollo psicologico che con il passare del tempo si è trasformato in depressione. Per dire no ad una detenzione eccessivamente severa e priva di ragioni reali che ne giustificassero la durezza, ha cominciato lo sciopero della fame, nel tentativo di far valere i più elementari diritti di un essere umano. Sollevare l’attenzione sulla giusta e commisurata ‘punizione’ rispetto ad un reato, ma sempre nel rispetto del principio di rieducazione e magari reinserimento nella società. Nulla di tutto ciò, ignorato totalmente. Nessun consulto psicologico e nemmeno un prete con cui parlare. Abbandono totale che ha aggravato inevitabilmente il suo stato psico-fisico a tal punto che ha sviluppato una conclamata forma di anoressia. Tutto questo dopo che ad ottobre un medico di parte ha accertato il suo stato di salute riconoscendo un inizio di anoressia, patologia rigettata dal medico legale nominato dal tribunale. Nel tempo la situazione si è aggravata. Il malessere lo ha portato a perdere 30 kili in quattro mesi e lo ha ridotto uno scheletro umano incapace di alzarsi e deambulare. Non riesce neanche ad uscire dalla cella per recarsi al colloquio. Negata anche una sedia a rotelle è un “privilegio” solo per i portatori di handicap, questa la giustificazione da parte degli addetti ai lavori. Chi sbaglia paga, è giusto e condivisibile ma nel rispetto dei diritti fondamentali di un uomo. Anche quelli sono garantiti dalla Costituzione e in questo caso ne sono stati violati diversi. Pertanto, chiedo solo a chi di dovere di intervenire prima che sia troppo tardi. Un uomo, un marito, un padre di 44 anni non può essere condotto alla morte prima ancora di essere giudicato in un processo che vedrà la sua prima udienza a fine gennaio. È notizia degli ultimi giorni, la concessione degli arresti domiciliari, ad uomo condannato per omicidio, per problemi di salute legati all’obesità. In questo caso lo stato di salute è risultato incompatibile con il regime carcerario”. E conclude “Mi chiedo: nel caso di mio marito stanno aspettando che si arrenda alla morte prima ancora del processo? È questo lo Stato di diritto in cui viviamo? Non chiediamo un trattamento di favore o la libertà, ma solo la possibilità di trasferirlo in una struttura idonea, con un ospedale annesso, dove possa vedere garantito il sacrosanto diritto alla Salute” conclude Adriana C. nella sua lettera.